Diversamente amanti: l’ assistenza sessuale alle persone con disabilità

Lontani dai tabù, i servizi di assistenza sessuale consentono l’espressione dei bisogni sessuali e cercano di sviluppare un’esperienza affettiva

Ad oggi l’assistente sessuale per disabili è una figura professionale presente e legalizzata in Germania, Olanda e Scandinavia, Gran Bretagna e Svizzera dove l’ assistenza sessuale è un fatto acquisito, un aiuto a ragionare meglio sul tabù dell’amore, fisico e sentimentale, che accompagna l’esistenza delle persone diversamente abili.

Silvia Baraldi – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi Modena

Poesia d’amore per nessuno in particolare:

Lascia che io ti tocchi con le mie parole perché le mie mani giacciono flosce come  guanti vuoti;
Lascia che le mie parole accarezzino i tuoi capelli, scendano lungo la tua schiena e ti solletichino il ventre;
perché le mie mani, leggere, che volano libere come mattoni, ignorano la mia volontà e rifiutano caparbiamente di realizzare i miei più segreti desideri;
lascia che le mie parole entrino nella tua mente recando fiaccole;
accoglile di buon grado nel tuo essere, così che ti possano accarezzare gentilmente l’anima.

(The session)

Alex ha avuto più di trenta ragazze. Enea, tu quante? – Io… ne avevo dieci. Poi le ho lasciate tutte. – Ne avevi dieci in una volta sola? – Si, in una volta sola. – Hai fatto l’amore con dieci ragazze? – Eh, cercavo. – Ma non ci sei riuscito? – No. – Perchè non sei riuscito? – Perchè un po’ non avevo neanche  tempo.

(The Special Need)

Mark O’Brien è un poeta e giornalista costretto a vivere in un polmone d’acciaio ed è tretraplegico da quando da bambino si ammalò di una poliomielite che lo rese tetraplegico. A causa della sua condizione, è arrivato a 38 anni senza aver mai fatto sesso. Dopo alcune vane prove contatta Cheryl, una professionista del sesso, diversi tentativi e sessioni, Mark e Cheryl sono in grado finalmente di fare del sesso soddisfacente.

Enea ha trent’anni, un lavoro e un problema. Anzi: più che un problema, una necessità. Una necessità speciale: fare (finalmente) l’amore. Enea ha anche due amici, Carlo e Alex, fermamente decisi ad aiutarlo. A prenderlo sottobraccio con allegra dolcezza. E il sogno di Enea, impigliato nella rete dell’autismo, richiede una manutenzione delicatissima. Un viaggio, una complicità maschile e nuovi incontri creeranno le giuste condizioni.

Sessualità e disabilità

Chiunque ha il diritto di sperimentare le proprie emozioni intime, l’erotismo e l’amore. Ma quando la sessualità è espressa nella disabilità? La sessualità, infatti, è un’espressione fondamentale dell’essere umano, è un fenomeno complesso che vede coinvolte influenze psicologiche, biologiche e culturali. È  inserita alla base nella piramide dei bisogni di Maslow (1954).

Fino ad alcuni decenni fa il discorso relativo alla sessualità nei soggetti portatori di handicap veniva considerato tabù, taciuto, evitato, lasciato in mano alle famiglie e, di conseguenza, eluso dalla letteratura. Qualunque fosse la disabilità, fisica o psichica, diagnosticata alla nascita oppure causata da improvvisi o inaspettati incidenti di percorso nella fase evolutiva, c’era sempre una certa difficoltà tra le persone normodotate ad affrontare questa tematica. Non che ora se ne parli facilmente e liberi da qualunque pregiudizio o stereotipo, raramente si osserva una serena e chiara affermazione della sessualità tra e per le persone con disabilità, ma almeno, attualmente, l’argomento viene affrontato con sempre maggiore frequenza, sia da parte degli operatori (Villar, 2016) sia dai mezzi di comunicazione questo grazie ad una “costante penetrazione nella coscienza sociale di una nuova sensibilità relativa ai diritti dei portatori di handicap, diritti che tendono, com’è giusto, verso il più possibile” (Ianes-Folgheraiter, in Dixon H. 1990, pag. 7) e alla rottura del silenzio intorno alle parole “disabilità e sessualità” che “hanno subìto una particolare forma di censura che non ha comportato l’imposizione del silenzio, quanto piuttosto l’elaborazione di un nuovo linguaggio” (Pennella, 1997).

Ma che cos’è la sessualità? È solo genialità o c’è altro?

La salute sessuale è l’integrazione degli aspetti somatici, affettivi, intellettuali e sociali dell’essere sessuato, allo scopo di pervenire ad un arricchimento della personalità umana e della comunicazione dell’essere” Organizzazione Mondiale della Sanità (2010).

Messaggio pubblicitarioE’ inimmaginabile negare tutto questo ad una persona. La sessualità non può essere ridotta alla dimensione genitale del sesso, ma comprende una vasta gamma di aspetti culturali e sociologici come pure di sensazioni ed emozioni. La sessualità è così anche relazione, comunicazione e scambio di piacere.

Diversi autori (Valente Torre, Cerrato, 1987; Sbardella, Secchi, 1997) evidenziano come la sessualità non coincide esclusivamente con la genitalità ma in essa rientrano anche altri aspetti ad essa connessi, quali la corporeità, il contatto fisico, la tenerezza, l’affettività, ecc. La possibilità di manifestare e vivere i bisogni e i desideri sessuali, in accordo con il proprio grado di coscienza e capacità, è un diritto umano fondamentale, che non deve essere ignorato ma rispettato e reso possibile. Ciò in particolare per le persone che, a causa delle loro difficoltà, necessitano dell’aiuto degli altri per realizzare la propria psicosessualità.

Non è possibile ritenere che sia difficile se non impraticabile per le persone con disabilità avere una vita sessuale soddisfacente o ritenerle come eterni bambini, cosa che succede molto spesso con i disabili psichici (Valente Torre, 1987). Nell’immaginario collettivo, purtroppo sembra comune la fantasia che le persone con disabilità non possano vivere un’intimità erotico-sessuale di coppia e autoerotica, allontanandosi inevitabilmente dallo sperimentare l’esperienza sessuale.

Che significato possono dare alla sessualità le persone che già vivono particolari difficoltà e disagi? Quel corpo che nell’infanzia era toccato e gestito senza alcuna difficoltà ora cambia, ora quei maneggiamenti assumono nuovi significati, nuove rappresentazioni che essendo taciuti sono poco compresi e vissuti con timore ed imbarazzo. I disabili fisici dalla nascita come suggerisce Baldaro Verde et al. (1987) in termini psicologici rischiano di instaurare forme di chiusura, tristezza e imbarazzo e inoltre la rappresentazione del Sé è rinforzata negativamente da una società giudicante, disprezzante e limitante, che non permette ai disabili motori di instaurare o mantenere in modo sereno una relazione intimo-affettiva.

Spesso, questi individui, a prescindere dal genere sessuale, si trovano a vivere gravi sentimenti d’inferiorità con conseguente paura di una non accettazione da parte del sociale (Dupras, 2015). I disabili che hanno acquisito l’handicap successivamente ad incidenti o malattie, durante la fase pubero/adolescenziale possono sviluppare sentimenti di rabbia e di disagio legati alla delusione di vedersi negata una condizione che alla nascita gli spettava di diritto (Baldaro, Verde, 1987).

La disabilità di tipo psichico ha invece tutta un’altra caratteristica in quanto gli individui hanno sviluppi psico-fisici differenti. Se al livello cognitivo possono restare lontani dall’età biologica a livello fisico possono in genere rispettare le normali tappe dello sviluppo erotico-sessuale. Appare quindi scontato che ancor più dei disabili motori, gli individui con disabilità psichica e mentale, subiscono maggiori restrizioni e privazioni in campo sessuale, nonostante diversi studi (Turner, 2016; Dupras, 2015) mostrino come abbiano desideri, bisogni e rappresentazioni. Come suggerisce Loperfido (1987) e Turner (2016) è possibile però non rimanere ancorati ai giudizi e pregiudizi nei confronti della sessualità nella disabilità psichica. Infatti, sul piano del “fare”, l’educazione sessuale acquista un significato fondamentale. Ma come è possibile fare?

Assistente sessuale: verso una sessualità più autonoma

Sarebbe utile insegnare alle persone che ruotano intorno al diversamente abile, famiglia ed educatori (Villar et al, 2016), ad affrontare questi argomenti in maniera serena e a far acquisire una cosiddetta normalità attraverso l’accettazione della diversità del proprio corpo, riconoscerne i limiti, sia fisici, sia psichici che sensoriali, e stimolarne le potenzialità verso una condizione sociale che li renda più autonomi e che rafforzi la propria identità (Lolli et al, 2010).

In questa visione non può mancare un percorso di autonomia verso una sessualità possibile e autogestita fatta non solo da rapporti sessuali completi ma da gesti che possono essere carezze, baci, tenersi la mano o stare al telefono con il proprio partner (Veglia, 2000). Autonomia che va incoraggiata e sperimentata. Sperimentazione che in Europa è già possibile attraverso il servizio di Assistenza Sessuale e, dunque, la figura dell’ Assistente Sessuale. In Europa già dagli anni ’80, Germania e Paesi Bassi, hanno istituito dei “Servizi di Assistenza Sessuale” gestiti da associazioni come la SAR (Associazione per le Relazioni Alternative) nei Paesi Bassi e la SENIS in Germania. Ad oggi l’assistente sessuale per disabili è una figura professionale presente e legalizzata in Germania, Olanda e Scandinavia, Gran Bretagna e Svizzera dove l’ assistenza sessuale è un fatto acquisito, un aiuto a ragionare meglio sul tabù dell’amore, fisico e sentimentale, che accompagna l’esistenza delle persone diversamente abili.

Questi progetti nascono dalla necessità di rispondere al semplice bisogno del portatore di disabilità di avere un’intimità propria che migliori la possibilità di relazionarsi con il mondo esterno con una diminuzione della frustrazione e dell’aggressività conseguente alla gratificazione di una parte così importante dei bisogni primari (Turner, 2016), sgravando la famiglia che negli anni passati se ne occupava o personalmente o cercando modi alternativi per sfogare i desideri del figlio (es prostituzione) (Ulivieri, 2014)

Il servizio di assistenza sessuale consente da una parte l’espressione dei bisogni sessuali e dall’altra cerca di sviluppare un’esperienza affettiva. L’ assistente sessuale (Nuss, 2008) o accompagnatore sessuale, è un professionista, uomo o donna, sano nel corpo e nello spirito, che ha deciso volontariamente di fornire aiuto alle persone con handicap a vivere la loro sessualità:

  • Permette alle persone con deficit mentale o psichico, o entrambi, di vivere una esperienza erotica, sensuale o sessuale
  • Propone dei massaggi, contatto fisico, corpo a corpo, stimolazione tattile, consigli sulla masturbazione;
  • Permette alle persone con disabilità di raggiungere il piacere orgasmico;
  • Tratta le persone con disabilità come “individui” alla pari.

Gli operatori vengono formati appositamente, lavorano in modo volontario e non sono legati al mondo della prostituzione (Limoncin et al., 2014). Le modalità di selezione degli assistenti sessuali sono assolutamente rigorose. L’operatore definito del “benessere sessuale” ha dunque una preparazione adeguata e qualificante e non concentra esclusivamente l’attenzione sul semplice processo “meccanico” della sessualità ma promuove attentamente anche l’educazione sessuo-affettiva.

Messaggio pubblicitarioL’ assistenza sessuale a persone con Disabilità rappresenta quindi un concetto che racchiude allo stesso tempo “rispetto” e “educazione”, che solo per un paese civile può rappresentare la massima espressione del “diritto alla salute e al benessere psicofisico e sessuale” (Ulivieri, 2015).

Per questo motivo parlare semplicemente di Assistenza Sessuale può risultare estremamente riduttivo, qualificarne il concetto più complesso attraverso i termini Assistenza all’emotività, all’affettività, alla corporeità e alla sessualità permette di assaporare tutte quelle sfumature in essa contenute (Ulivieri, 2015).

L’assistenza all’emotività, all’affettività, alla corporeità e alla sessualità si caratterizza con la libertà di scelta da parte degli esseri umani di vivere e condividere la propria esperienza erotico-sessuale a prescindere dalle difficoltà riscontrate nell’esperienza di vita.

Aiutano il soggetto disabile a rendersi protagonista maggiormente responsabile delle proprie relazioni sia sentimentali che sessuali, favorendo una maggiore conoscenza e consapevolezza di sé ed una più adeguata capacità di prendersi cura del proprio corpo e della propria persona (Ulivieri, 2015).

Gli incontri si orientano in un continuum che va dal semplice massaggio o contatto fisico, al corpo a corpo, sperimentando il contatto e l’esperienza sensoriale, dando suggerimenti fondamentali sull’attività autoerotica, fino a stimolare e a fare sperimentare il piacere sessuale dell’esperienza orgasmica. L’ assistente sessuale può aiutare ad accogliere e non reprimere le diverse istanze del proprio corpo, dei sensi e delle emozioni. Questo aspetto emerge anche da diversi studi (Gammino et al, 2016) nei quali i risultati suggeriscono che i servizi di assistenza sessuale potrebbero rappresentare una opportunità per le persone con disabilità di scoprire nuovi modi per soddisfare le loro esigenze personali e di vivere in modo più autonomo, mentre, allo stesso tempo, permettono ad aspiranti assistenti sessuali per soddisfare il loro desiderio di essere utile. Naturalmente questa assistenza non vuole essere la risoluzione al problema, dai dati infatti emerge anche il desiderio di creare una relazione romantica con un partner, ma può essere l’ assistenza sessuale considerata, finalmente, una rottura del silenzio, l’inizio di una presa di consapevolezza da parte della società.

L’assistenza sessuale in Italia

In Italia? Nel 2014 nasce Lovegiver (www.lovegiver.it) un’associazione che promuove l’istituzione dell’ assistenza sessuale anche attraverso l’Osservatorio Nazionale sull’Assistenza Sessuale, un organo interno che, per mezzo di alcuni attivisti coordinati dal Prof. Fabrizio Quattrini, promuove un dialogo costante e funzionale in materia di sessualità e disabilità. L’Osservatorio Nazionale sull’Assistenza Sessuale ha tre scopi principali: la ricerca, l’aggregazione-controllo e la rete. Da un anno è fermo il Disegno di legge 1442 del 24 Aprile 2014 sull’istituzione e la regolamentazione dell’ Assistenza Sessuale in Italia, alcune regioni si stanno muovendo ma senza prendere ancora una reale decisione in materia.

Bibliografia

Le implicazioni degli stili di attaccamento nella relazione tra caregiver e pazienti affetti da demenza

La teoria dell’attaccamento aiuta a comprendere la relazione tra pazienti con demenza e familiari e a capire come l’attaccamento influenzi i caregivers.

Silvia Baraldi e Elena Del Rio – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi Modena

In letteratura la teoria dell’attaccamento viene utilizzata come base per la comprensione delle dinamiche subordinate alla cura delle persone affette da demenza e dei familiari, osservando come l’attaccamento influenza l’esperienza nel ruolo di caregiver.

L’assistenza all’anziano con patologia degenerativa come la demenza comporta problematiche di grande complessità e richiede risposte specifiche sia per le esigenze del malato, ma anche per coloro che se ne prendono cura, i così chiamati caregivers.

Il ruolo del caregiver diventa cruciale sin dalle prime fasi della malattia ed è frequente che il famigliare stesso possa sviluppare una condizione di stress, sia sul piano fisico sia emotivo, legata al gravoso compito di assistenza e accudimento, sia per il carico fisico e per la presenza di disturbi del comportamento che la malattia comporta, sia per gli inevitabili cambiamenti nella relazione tra il caregiver e il paziente.

Sono presenti numerosi lavori e studi che confermano l’importanza del ruolo di caregiver nel processo assistenziale e nella necessità di sostenere tale figura per apprendere le conoscenze e le risorse idonee a ricoprire il nuovo ruolo; per elaborare e vincere sentimenti di colpa e disagio psico-emotivo che la malattia porta (Kupferschmidt et al. nel 2009).

Messaggio pubblicitarioIn letteratura la teoria dell’attaccamento viene utilizzata come base per la comprensione delle dinamiche subordinate alla cura delle persone affette da demenza e dei familiari, osservando come l’attaccamento influenza l’esperienza nel ruolo di caregiver. In generale la teoria dell’attaccamento può essere considerata come un approccio con radici concettuali complesse e multiple che evidenzia come aspetto essenziale la presenza nell’uomo di un bisogno innato di ricercare per tutto l’arco della vita la vicinanza protettiva di una figura significativa ogni volta in cui è in pericolo, soffre, ha bisogno o è in difficoltà. Questo bisogno innato però fin da subito viene integrato con le esperienze derivanti dall’ambiente in cui l’individuo viene a trovarsi. Quindi la tendenza dell’uomo a cercare la vicinanza delle figure di attaccamento corrisponde ad una conoscenza che è su basata su uno schema innato, ma che per diventare completamente operativo deve essere integrato con le esperienze relazionali concrete, in questo senso, infatti la qualità delle prime relazioni con il caregiver nell’infanzia influenzano lo sviluppo dei modelli operativi interni, delle aspettative verso Sé e altri e forniscono le basi per nuove esperienze e interazioni sociali.

Nell’infanzia, durante il primo anno di vita, i bambini, all’interno della relazione con il caregiver, si creano delle aspettative circa il rapporto con la figura di attaccamento, organizzando così dei Modelli Operativi Interni, formati dall’insieme di memorie episodiche e semantiche, quindi sia dell’esperienza emotiva che cognitiva, e di rappresentazioni del Sé e dell’altro significativo. Questi modelli determinano quelli che sono i comportamenti di attaccamento e che sono stati divisi in:

  • Attaccamento sicuro (Sé amabile, accettato; altro accettante, fornisce cure e protezione, stabile; memoria episodica e semantica integrate; strategie usate nella relazione e nell’esplorazione dell’ambiente sono le più diverse, in generale di avvicinamento alla figura di attaccamento se c’è pericolo e di esplorazione se non c’è pericolo)
  • Attaccamento insicuro evitante (Sé rifiutato, non degno d’amore; altro rifiutante; memoria semantica ed episodica non integrate; strategia più utilizzata nella relazione è l’evitamento)
  • Attaccamento insicuro ambivalente (Sé degno/non degno d’amore, altro accettante/rifiutante; memoria semantica ed episodica non integrate; strategia più usata nella relazione è il tentativo di tenere il controllo relazionale con comportamenti seduttivi e/o con modalità aggressive)

La teoria del’attaccamento non prevede una stabilità assoluta, durante tutto l’arco della vita, dello stile di attaccamento appreso durante l’infanzia anche se i modelli operativi interni sono molto resistenti al cambiamento; la possibilità al cambiamento si lega alla capacità di riflettere sui propri modelli interni e alla possibilità di esperienze relazionali correttive (Bartholomew K, 1993).

La teoria dell’attaccamento è stata ampiamente utilizzata come base per la comprensione delle dinamiche sottostanti la cura delle persone bisognose, in particolar modo delle persone affette da demenze e delle differenze che i diversi stili di attaccamento nei caregivers possono comportare nella nuova relazione che si crea. La demenza, infatti, minaccia il legame di attaccamento, con la progressione della disabilità cognitiva e funzionale, si possono attivare sentimenti di attaccamento, come il ricercare sicurezza e vicinanza, bisogno di dipendenza, richiesti al caregiver.

Questa nuova relazione permette al figlio di ripristinare il primario legame di attaccamento verso il genitore, come conseguenza il figlio si adopera in comportamenti protettivi e di aiuto, per mantenere la vicinanza e un trasmettere un senso di sicurezza verso il genitore fragile. Nel contesto di accudimento e attivazione del sistema assistenziale, l’ attaccamento sicuro risulta essere in relazione con una serie di risposte, tra cui:

  • La conoscenza di scelte di vita del malato (Turan, Goldstein, Garber, e Carstensen, 2011);
  • Il sentirsi preparati ad intraprendere il ruolo di caregiver ( Sorensen, Webster, e Roggman, 2002);
  • La probabilità di fornire sostegno e assistenza (Carnelley, Pietromonaco, e Jaffe, 1996);
  • Essere predisposti all’aiuto (Klaus, Kennell, e Klaus, 1995);
  • La qualità delle cure fornite per la persona malata (Cicirelli, 1991).

I dati presenti sul panorama scientifico, portano nella direzione per cui un caregiver sicuro può essere visto come in grado non solo di usufruire dei supporti sociali esistenti ma, soprattutto, di affrontare e integrare le emozioni riguardanti il proprio congiunto, riuscendo ad essere emotivamente più disponibile e diminuendo la sensazione soggettiva del carico che la malattia comporta, il ‘burden’ (Pezzati et al, 2005) .

Di fronte ad eventi come la diagnosi di una malattia cronica, un caregiver sicuro può avere un miglior adattamento nelle situazioni di stress. All’opposto, stili di attaccamento di tipo insicuro in un caregiver possono riversarsi in situazioni di maggior conflitto, sentimenti ambivalenti e difficoltà nell’affrontare e regolare le emozioni. I dissidi irrisolti ma anche quelli presenti, mai affrontati nella propria storia di vita, condizionano i momenti difficili della situazione di cura. I caregivers con stile di attaccamento sicuro, sono accoglienti nel modo di fornire conforto e sostegno, mentre caregivers con stili di attaccamento insicuro, faticano a supportare il malato o tendono ad evitare situazioni in cui è richiesto il supporto o nella situazioni in cui il bisogno di dipendenza da parte del malato risulta elevato (Bartholomew & Horowitz, 1991).

In diversi studi, come quello di Carpenter (2001), è stato osservato come lo stile di attaccamento, delle figlie che si occupano di madri anziane, era correlata al tipo di cure fornite; figlie con attaccamento sicuro riescono a fornire cure più emotive (vicinanza, protezione, sicurezza) rispetto all’attaccamento insicuro. Inoltre nello stesso studio, confermato anche in altre ricerche, lo stile di attaccamento sicuro risulta in relazione di una più bassa percezione del burden della cura (Carpenter, 2001; Cicirelli, 1993), mentre stili di attaccamento insicuro risulta maggiormente correlato ad una percezione di carico maggiore e alla presenza di sintomatologia depressiva (Gillath, Johnson, Selcuk, e Teel, 2011). Come sottolineato da Carpenter, in condizioni di disagio un adulto con stile di attaccamento insicuro può avere delle difficoltà a trovare le risorse per fornire cure sensibili ed efficaci ad altre persone; una persona relativamente sicura potrà invece percepire gli altri, non solo come fonte di sicurezza e supporto, ma anche riuscire a comprendere i bisogni degli altri e apportare sostegno.

Bibliografia

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  • Bartholomew, K., & Horowitz, L. M. (1991). Attachment styles among young adults: A test of a four category model. Journal of Personality and Social Psychology, 61, 226–244.
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  • Bowlby, J. (1988). A secure base: Parent-child attachment and healthy human development. New York, NY: Basic Books.
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  • Carpenter, B. D. (2001). Attachment bonds between adult daughters and their older mothers: Associations with contemporary caregiving. Journals of Gerontology Series B-Psychological Sciences and Social Sciences, 56, 257–267.
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    Kupferschmidt et al. Psychological resilience in spousal caregivers of memory clinic patients with Alzheimer disease. Dept. of Gerontology 2009.
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  • Sorensen, S., Webster, J. D., & Roggman, L. A. (2002). Adult attachment and preparing to provide care for older relatives. Attachment & Human Development, 4, 84–106.
  • Turan, B., Goldstein, M. K., Garber, A. M., & Carstensen, L. L. (2011). Knowing loved ones’ end-of- life health care wishes: Attachment security predicts caregivers’ accuracy. Health Psychology, 30, 814–818.
    Per saperne di più: https://www.stateofmind.it/2015/11/attaccamento-caregiver-demenza/

Attaccare con ironia: l’uso dell’umorismo nei conflitti di coppia

Esiste una correlazione tra gli orientamenti di attaccamento e i diversi stili di umorismo utilizzati e la soddisfazione per la risoluzione del conflitto.

Di Baraldi Silvia, Borsari Giulia, Costi Sara, Lo Sterzo Elena, Sirotti Elena
OPEN SCHOOL MODENA

Di tutti gli elementi che contribuiscono all’equilibrio famigliare, 

nessuno è più utile e opportuno del senso dell’umorismo. 

(A. J. Cronin)

Attacca con umorismo- l'uso dell'umorismo nei conflitti di coppia. -Immagine: © olly - Fotolia.comEsiste una correlazione tra gli orientamenti di attaccamento e i diversi stili di umorismo utilizzati e la soddisfazione per la risoluzione del conflitto; emerge poi un utilizzo strategico dell’umorismo in base allo stato d’animo del partner durante il conflitto e delle differenze di genere significative nell’espressione e nella reazione all’umorismo.

L’umorismo è un “ingrediente” fondamentale di tutte le relazioni però è molto importante prestare attenzione alle “dosi” in cui viene utilizzato. Di particolare interesse lo studio di Winterheld et al. (2013) che ha preso in considerazione l’interazione tra gli orientamenti di attaccamento sviluppati durante l’infanzia dai partner e l’utilizzo dell’umorismo in situazioni conflittuali.

Gli autori individuano in particolare due tipologie di umorismo: una diretta verso di sé e una rivolta verso gli altri. In entrambi i casi è possibile individuare una componente positiva e benevola e una negativa.

Nel caso di umorismo etero diretto positivo si parla di humor affiliativo che contribuisce a mettere in buona luce sia chi lo utilizza sia il suo interlocutore migliorando così la relazione; l’umorismo etero diretto negativo viene definito dagli autori humor aggressivo e si caratterizza per la propensione ad utilizzare battute ostili per esaltare l’immagine di sé a scapito degli altri (Martin et al., 2003).

Nell’ambito dell’umorismo auto-diretto è possibile individuare un humor positivo indicativo di una visione positiva di sé ed uno definito di autodifesa utilizzato per rinforzare il legame con gli altri tramite commenti auto-denigratori, finalizzati a trovare rassicurazione e reprimere le proprie emozioni negative.

La teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1969) fornisce una cornice esplicativa del motivo per cui le persone utilizzano differenti tipi di umorismo. In particolare si possono considerare i  due orientamenti di attaccamento adulto problematici: ansioso ed evitanteL’attaccamento ansioso riflette una visione negativa di sé e la preoccupazione che il partner possa non essere presente nel momento del bisogno (Simpson & Rholes, 1996).

L’attaccamento evitante invece rispecchia la necessità di mantenere il controllo, bastare a se stessi e limitare l’intimità emotiva nelle relazioni (Mikulincer & Shaver, 2003).

In base a queste premesse teoriche Wintereld e colleghi cercano di rispondere ad alcuni quesiti: questi tipi di attaccamento sono collegati ad certo tipo di umorismo? Chi ha un certo tipo di attaccamento, che stile di umorismo usa? E come reagisce quando è oggetto ai diversi tipi di humor? Che tipo di humor preferiscono uomini e donne?

Lo studio è stato sviluppato attraverso l’analisi di videoregistrazioni di coppie in situazioni conflittuali, con particolare attenzione allo stato emotivo dei partner ed alla soddisfazione di ciascuno rispetto alla soluzione del conflitto.

Dall’analisi dei dati è emerso che esiste una correlazione tra gli orientamenti di attaccamento e i diversi stili di umorismo utilizzati e la soddisfazione per la risoluzione del conflitto; emerge poi un utilizzo strategico dell’umorismo in base allo stato d’animo del partner durante il conflitto e delle differenze di genere significative nell’espressione e nella reazione all’umorismo. Nello specifico:

  • le persone con attaccamento fortemente evitante tendono ad utilizzare strategie umoristiche prevalentemente aggressive, al fine di mantenere una distanza “di sicurezza” emotiva dal partner;
  • le persone con attaccamento fortemente ansioso tendono ad utilizzare prevalentemente humor di autodifesa, al fine soddisfare il proprio bisogno di rassicurazione e vicinanza al partner; dal momento che queste persone sono eccessivamente focalizzate su di sé potrebbero non avere sufficienti risorse per utilizzare l’umorismo affiliativo e valorizzare il partner;
  • gli individui sono sensibili al tipo di attaccamento del partner, prediligendo un umorismo maggiormente affiliativo, piuttosto che aggressivo, quando i compagni sono molto ansiosi o stressati;
  • lo humor aggressivo viene percepito come dannoso solo quando chi ne è oggetto è alla ricerca di cura e rassicurazione;
  • l’umorismo affiliativo è sistematicamente correlato a risposte positive del partner, soprattutto quando questi è preoccupato, riducendo la tensione di coppia e aumentando la soddisfazione di entrambi;
  • i soggetti fortemente ansiosi o evitanti reagiscono in modo negativo quando sono oggetto delle stesse modalità di umorismo che loro stessi utilizzano maggiormente;
  • le donne manifestano meno rabbia e più soddisfazione quando il partner utilizza un umorismo affiliativo mentre gli uomini risultano più soddisfatti quando la propria partner mostra uno humor di autodifesa.

Questa ricerca costituisce un punto importante per lo sviluppo della conoscenza nell’ambito, essendo il primo studio di osservazione del comportamento che documenta come gli individui con differenti orientamenti di attaccamento esprimono spontaneamente umorismo mentre cercano di risolvere un conflitto interpersonale e quali sono le loro reazioni.

Pur essendo possibile individuare solo una correlazione tra le diverse variabili prese in considerazione dagli autori, l’umorismo, se utilizzato nei modi e nelle situazioni opportune, contribuisce ad una maggiore soddisfazione del  rapporto (De Konig & Weiss, 2002), a maggiore intimità, ad un più forte senso di appartenenza e di coesione (Ziv & Gadish, 1989).

Senso dell’umorismo vuol dire senso della proporzione.

Kahlil Gibran, Sabbia e spuma, 1926

BIBLIOGRAFIA: